L’innovazione è più importante della politica

Oggi prevedere significa vedere, fare, realizzare. C’è sempre meno tempo tra l’idea e il prodotto finito.

Pur se viva e attiva nell’immediato presente, pur se capace di realizzarsi nel tempo stesso in cui si progetta, l’innovazione digitale vive di una visione del futuro come mai le altre tecnologie nella storia dell’umanità. Essa eredita dalla storia dell’uomo l’innata predisposizione a fare calcoli e congetture su cosa potrà essere il domani, con la differenza che oggi non siamo più limitati allo schizzo avanguardistico di qualche genio isolato, o alle pagine di un romanzo di fantascienza.

Ciò che rientrava, fino a non molto tempo fa, nella categoria dell’impossibile, è diventato il pane quotidiano dell’attualità. I visionari di oggi non vivono nello scantinato di qualche manicomio, ma dirigono le più importanti aziende che dettano le regole e i ritmi del cambiamento. Oggi prevedere significa vedere, fare, realizzare. C’è sempre meno tempo tra l’idea e il prodotto finito.

Questa capacità di vedere oltre il tempo presente, per migliorarlo, e marciare dunque verso un futuro migliore, sembra mancare, quasi sempre, alla Politica in quanto arte, scienza del governo e dell’amministrazione dello Stato. Eppure, tramontate le vecchie ideologie otto-novecentesche, ci si aspettava che la Politica si assestasse su un livello di più libera gestione dell’esistente; un livello che, però, per una serie di motivi derivanti soprattutto dall’educazione, come dall’aggiornamento della classe dirigente, insieme alle ostinate resistenze di carattere clientelare connesse all’amministrazione del potere, stenta a decollare in modo decisivo e a dirigersi senza indugio verso le nuove frontiere aperte dalla tecnologia digitale.

Difficilmente sentiamo parlare i politici con cognizione di causa sul mondo dell’innovazione, o sul futuro dell’umanità. Quando succede, si cade spesso in vuoti, acritici trionfalismi del tipo: tutto sarà bellissimo, oppure, come accade ultimamente, si nota una più riflessiva tendenza, che pone l’accento sui problemi sociali e produttivi derivanti dall’impiego delle nuove tecnologie in settori strategici, come quello del lavoro.

Per anni ci è stata raccontata soltanto la faccia trionfante, positiva, incredibile di un mondo che nasconde in sé tante ombre quante luci. Per esempio, il mondo del lavoro ha risentito pesantemente dei cambiamenti avvenuti. Se da un lato l’introduzione delle macchine nella catena produttiva ha risollevato molti dalla povertà, consentendo uno sviluppo e un aggiornamento dei sistemi, dall’altro questa stessa ha buttato all’aria interi settori, ridefinendo (in maniera praticamente autonoma, al di là di ogni tentativo gestionale da parte della politica) le regole dell’intero quadro di riferimento.

Il fatto è che la Politica (forse per sua natura, forse per una lentezza congenita nell’afferrare i problemi), arriva quasi sempre a cose fatte.

Di per sé, quello politico è un settore che non crea ricchezza, ma che ha il compito di gestirla e di distribuirla e, in primis, di favorirne la creazione. Così la Politica si trova a doversi affidare a chi produce direttamente, per avere materiale da gestire e da distribuire. Come dire, lavora con i frutti altrui e, con le scelte che opera, determina quale branca della società può crescere e quale (esagerando un po’) deve trovare da sola i mezzi per sopravvivere.

I tempi dei due attori sono molto diversi. 

Le scadenze della Politica contemporanea (parliamo soprattutto dell’Italia, ma non solo) sono scadenze ancora modellate sui ritmi di una società contadina o industriale, sullo sviluppo lento di un mondo sostanzialmente fermo. I settori più innovativi della società, invece, hanno oggi tra le mani un qualcosa che non può aspettare i mille iter burocratici di una pratica, le decisioni di un decreto o i capovolgimenti del gioco delle parti (e dei partiti), pena l’esclusione dal giro e il rischio di vedere bruciati progetti da una concorrenza sempre più agguerrita, che opera ormai a livello globale.

Se per esempio il governo di un Paese (non comprendendone l’importanza) non supporta una data ricerca cogliendo la palla al balzo, i promotori di questa andranno a cercare altrove i loro finanziamenti, oppure altri sviluppatori di un altro paese li batteranno sul tempo. È nel tempo, infatti, che si allarga sempre più il gap tra Politica e Innovazione. E il tempo, tradotto in termini concreti, vuol dire semplificazione, flessibilità, sistemi smart, comunicazione, capacità.

Ma cambiare la macchina del potere non è affatto cosa da ragazzi. I suoi ingranaggi sono grandi, ingombranti, lenti e farraginosi. Oscuri.

Ogni tanto, quando emerge qualche figura che ha una certa visione lungimirante del futuro, si risente la famosa frase che recita: un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni. Benissimo. Come concetto non fa una piega.

È una distinzione esatta, che mette a confronto la miopia di chi guarda solo all’oggi con la capacità di anticipare i tempi di chi si rivolge a ciò che inevitabilmente sarà. La frase, però, andrebbe aggiornata. Pur se ancora efficace, è figlia di un tempo passato. 

Quanto tempo trascorre, infatti, tra un’elezione e un’altra? Cinque anni? Bene, seguendo il ritmo attuale dell’innovazione, bisogna rendersi conto che cinque anni sono quasi una generazione, se non di più, in termini di sviluppo tecnologico. Siamo di fronte al fatto che basterebbe anche pensare, con un’adeguata capacità di comprensione, al breve tempo che intercorre tra un’elezione politica e l’altra per stare sul pezzo.

La realtà è cambiata. Così che lo statista di oggi potrebbe guardare tranquillamente almeno ai prossimi cinque anni, prendendo decisioni e disegnando strategie che tutti siano consapevoli essere non-durature, essendo forse inconcepibile riuscire a impostare delle politiche giuste per favorire quello che sarà tra trent’anni.

Lo si può fare solo in termini di costante aggiornamento, di costante attenzione a quello che emerge dal tessuto produttivo. Il futuro, infatti, porrà dei problemi radicalmente diversi da quelli che dobbiamo affrontare già oggi a livello, per esempio, di burocrazia.

Pensiamo a come – e quanto a fondo – andrebbe rivisto il problema delle pensioni in una società dove la vita media fosse allungata (per via di alcune scoperte in campo genetico) di trenta o quarant’anni. Avranno ancora senso i modelli di welfare concepibili oggi?

Allora, quello che accade più spesso è che la tecnologia, l’innovazione, la scienza vanno per la propria strada, quasi incuranti dell’appoggio politico (come a dire: se ci aiutate bene, altrimenti facciamo lo stesso) perché non possono resistere (e perché dovrebbero?) al fare da traino dell’economia reale del paese mentre la Politica arranca, incurante delle nuove domande, dei nuovi interrogativi, delle necessità di rivedere piani e progetti di investimento. D’altronde chi ci prova, a star dietro al presente, finisce spesso in cattive acque, non riuscendo a incidere in modo adeguato. O non riesce a fare quello che ha in mente, perché cade vittima di resistenze, ostracismi, sabotaggi (quando non di una fretta priva di spirito critico, che partorisce, inevitabilmente, una nidiata di gattini ciechi); oppure si ritira su un piano astratto/fantascientifico, con toni apocalittici che venano il quadro di tetraggine, dando così indirettamente ragione a chi si aspetta dall’avvenire uno scenario disumanizzato.

Prendiamo ad esempio di quest’ultimo atteggiamento il video che realizzò la Casaleggio Associati nel 2008. Era una specie di profezia sul futuro dell’umanità che, partendo dall’antichità, passando per l’introduzione di Internet, prospettava per l’agosto 2054 l’instaurazione di Gaia, un Nuovo Ordine Mondiale nel quale saranno scomparsi conflitti razziali, ideologici, religiosi, territoriali, nel quale ogni uomo è cittadino del mondo, soggetto alle stesse leggi.

A Internet veniva riconosciuto il ruolo di veicolo del cambiamento attraverso le comunicazioni, la conoscenza e l’organizzazione a livello planetario, allo stesso modo di come l’impero romano ha dominato per secoli perché le sue strade formavano una rete di collegamenti. Poi, nel 2040, dopo vent’anni di guerra mondiale, ci sarà il trionfo della democrazia della rete e il pianeta verrà suddiviso in migliaia di comunità. Ognuno avrà la sua identità in un network sociale e mondiale creato da Google di nome EARTHLINK: per essere tu devi essere inEARTHLINK o non avrai identità.

Allora, la conoscenza collettiva sarà la nuova politica.

A parte il tono complessivo da profezia apocalittica del video, alcune di queste prospettive sono certamente interessanti e pongono la Politica di fronte a uno scenario nuovo, per rallentare l’avvento del quale poco o nulla potrà fare. Già oggi ci si comincia a chiedere se il sistema democratico come lo abbiamo inteso fino ad ora sia ancora funzionale al governo di un’umanità globalizzata.

In una recente intervista, lo scrittore francese Michel Houellebecq dichiarò che per lui la democrazia rappresentativa non aveva più molto senso e che quello che a lui interessava maggiormente era essere consultato e non rappresentato. In prospettiva, quindi, una forma di democrazia diretta che più che eleggere rappresentanti di determinate classi sociali (altra categoria fortemente a rischio, nel mondo nuovo) chieda, tramite referendum, l’opinione dei cittadini.

In un sistema di questo tipo si porrebbe il problema della competenza della cittadinanza, chiamata a esprimersi, tramite il voto on-line, su qualsiasi procedimento il governo abbia intenzione di adottare. Ma, a questo proposito, ho sentito alcuni rispondere che non tutti voterebbero a tutti i referendum. Ognuno sceglierebbe di partecipare decidendo soltanto sui temi per i quali possiede un’opinione, per il resto si affiderebbe alla competenza altrui.  È uno scenario che potrebbe anche rafforzare i vincoli di appartenenza a un’unica, grande comunità, nella quale ognuno mette a disposizione il proprio sapere per il bene comune, fidandosi dell’altro; anche se resterebbe il problema di una gestione occulta del voto delle masse.

Interrogativi simili emergono già in questi tempi, quando leggiamo del ruolo giocato dai sistemi digitali allorché vengono impiegati come ausilio nell’impostazione delle campagne elettorali. Uno degli aspetti che salta all’occhio, è che il coinvolgimento della rete nei meccanismi elettorali (e quindi l’innovazione che si presta ai bisogni della Politica) è una cosa ben diversa dal coinvolgere la Politica nel mondo dell’innovazione. 

Quasi l’opposto. 

Da una parte l’innovazione viene sfruttata come strumento in grado di consolidare le vecchie forme di potere, dall’altro avremmo il potere che si declina secondo i nuovi paradigmi dettati dall’innovazione.

Luca Tomassini 5 maggio 2021
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Tutti uguali davanti alla Rete?
È un nodo, molto probabilmente, inestricabile.