Nel 1979 ho usato il mio primo computer: il Sinclair ZX80. Era una scatoletta bianca con una tastiera a membrana, una RAM di appena un kilobyte e la necessità di collegarsi a un televisore per funzionare. Non aveva hard disk, non aveva colori, eppure era un miracolo. Era la promessa di un futuro in cui l'informatica sarebbe stata alla portata di tutti. Oggi, quello che tenevamo con cura su una scrivania è stato superato da un qualunque smartphone, che possiede milioni di volte la potenza di calcolo del mio vecchio Sinclair.
Se il primo sogno era l'informatica, il secondo era la telefonia mobile. Nel 1985 eravamo pronti per il primo grande servizio di telefonia mobile in Italia. In realtà lo avevamo già realizzato: un servizio cellulare tutto italiano a 450 MHz, destinato ai telefoni veicolari. Lo avevamo sviluppato con Italtel, OTE e Telettra. Poi, nel 1990, arrivò la prima vera rete mobile analogica E-TACS, proprio in occasione di Italia '90. Fu un successo e quel giorno capimmo che l'Italia poteva diventare, così come lo è diventata, il più grande Paese al mondo in termini di crescita di mercato.
Ricevere un biglietto di incoraggiamento da Martin Cooper, il padre della telefonia mobile che nel 1973 aveva effettuato la prima chiamata cellulare, fu la conferma che eravamo sulla strada giusta. Avevamo realizzato un altro sogno. La seconda grande onda della rivoluzione tecnologica era compiuta.
Ma la terza era già in arrivo: Internet. Quella rete di computer che, nata come progetto militare americano sotto il nome di Arpanet, aveva lo scopo di garantire comunicazioni resistenti a un attacco nucleare. Un'utopia all'inizio, che poi divenne realtà. Internet ha reso accessibile il sapere umano come mai prima, ha dato vita a un mondo senza confini. "La comunicazione è vita", si diceva. E Internet sembrava il mezzo più democratico mai concepito.
Nel 2009, Rita Levi Montalcini, all'età di 100 anni, alla domanda su quale fosse la più grande invenzione del '900 rispose senza esitazioni: "Internet". Più della penicillina, degli aerei, della televisione o dei vaccini. Internet, e solo Internet.
Ed ora?
Cosa ne è stato di questo sogno? Quando ha smesso di essere una promessa di libertà per diventare un pericolo per la democrazia?
Nel 2013 Julian Assange pubblicò il libro "Internet è il nemico". L'avevo comprato, ma mi rifiutavo di leggerlo. Credevo fermamente nel potere positivo della rete. Solo nel 2023 l'ho finalmente aperto, e ho trovato inquietante quanto avesse anticipato ciò che oggi è realtà. Assange ci metteva in guardia: siamo sorvegliati, profilati, tracciati. Crediamo di essere liberi, ma non lo siamo. La rete che consideravamo democratica è diventata uno strumento di controllo. Una "crittoguerra" in cui le informazioni vengono manipolate e i più forti decidono per tutti.
Sono sempre stato (e lo sono ancora) un ottimista tecnologico. Ho scritto diversi libri in cui celebravo Internet e il digitale, con qualche avvertenza sulla sicurezza e sul passaggio dall'analogico al digitale. Per vent'anni siamo stati parte di una collettiva allucinazione tecnologica. Eppure qualcosa non è andato come doveva. Perché non ce ne siamo accorti prima?
Se oggi aprite Google Maps, il Golfo del Messico è diventato il "Golfo d'America". Se oggi si parla di Intelligenza Artificiale per scopi militari, è perché è stato tolto il divieto che la limitava. E tutto è accaduto nel giro di una settimana, per decisione del presidente degli Stati Uniti.
Quando è successo? E perché non ce ne siamo accorti prima?
Era così facile ignorare il problema, così facile credere che la Rete fosse solo un "dono di Dio". Lo stesso Papa Francesco, che ho conosciuto personalmente presentandogli un progetto di distribuzione di contenuti video su arte e fede, nel 2014 definì Internet proprio così: "un dono di Dio". Ma oggi ha cambiato prospettiva. Ha avvertito che la profilazione digitale sta alterando la nostra percezione della realtà e che i social stanno amplificando i conflitti. "Tutti i conflitti trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti", ha detto recentemente.
Un dono di Dio? Non più.
Internet non era nato per questo. E per molto tempo è stato il più grande strumento di progresso dell'umanità, dai tempi della stampa e dell'elettricità. Nel 2010 Nicholas Negroponte, autore di "Essere digitali", rispose a chi gli chiedeva quale fosse il lato oscuro di Internet: "Non averlo". Oggi sembra quasi ironico.
La sbornia tecno-ottimista non è stata solo un fenomeno italiano, ma globale. Gli Stati Uniti erano alla guida di questa rivoluzione. Barack Obama, nel 2008, fu il primo presidente a sfruttare la rete e i social per una campagna elettorale vincente. Internet era visto come uno strumento di libertà. Nessuno poteva immaginare che gli stessi social avrebbero poi portato due volte Donald Trump alla Casa Bianca, grazie a un uso spregiudicato della profilazione e della segmentazione delle informazioni.
Cosa è andato storto?
Il "capitalismo della sorveglianza", come descritto nel libro di Shoshana Zuboff, ha trasformato la rete in una macchina per il controllo sociale. Oggi, la battaglia per la sovranità digitale si gioca anche in Europa, con alternative come IRIS2 e GovSatCom contro il dominio di Starlink. Il 2025 è un anno cruciale per la democrazia e la tecnologia. Joe Biden, nel suo discorso di addio, ha avvertito del pericolo di "un'oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza". Una minaccia che riguarda tutto il mondo.
Si sono spenti i sogni? Forse. Ma la storia non è ancora scritta.